NON ALI DI CARTA-

NON ALI DI CARTA

Salve a tutti, anno nuovo collaboratore nuovo...anche se è una vecchia amicizia che avendo letto le mie richieste di mandare scritti, ha raccolto l'invito. È una vecchia conoscenza che, pur se non è domiciliata a Moricone, qua è nata e a noi affezionata. Si tratta di LALLA RIMACCI che non ha mai voluto (E NON VUOLE) che pubblicassi le sue poesie però, finalmente, mi ha mandato un suo racconto.
Eccolo:

NON METTETEMI PIÙ ALI DI CARTA

di LALLA RIMACCI


" Mamma non stringere, mi fai male! E poi non voglio mettermi le ali. Non voglio andare in processione! "

« Ogni volta è la stessa storia. Sei sempre la solita impunita».

" Mamma, le ali mi pesano."

«Ma se sono di carta! Come fanno a pesarti, se sono di carta.»

" Mamma mi pesano. L’hai visto anche tu che la fettuccia mi aveva secato le spalle il giorno dell'Assunta."

« Piuttosto, mi raccomando, non fare come solito tuo che, ti togli le ali e la camiciola di seta appena ci ritroviamo davanti alla chiesa. Stavolta te le do davanti a tutti!»

" Mamma mi stringe. Cos'è che mi stringe se non è la fettuccia del­le ali. Le ali...Le ali leggere di carta rosa crespata, fatte per me, sì proprio per me, da suor Maria Lucia?

Cos'è, mamma, questa fascia che mi passa attorno alle spalle, al torace, alla vita? Mi manca il respiro... Mamma, aiutami, soffoco."

Ma d'un tratto nel buio indistinto del mio dolore, reso più angosciante dal senso di soffocamento, si fa strada un pensiero netto, preciso: sono in ospedale e non posso parlare, come evocata dalla parola ospedale m’investe un odore acre, sgradevole; un miscuglio di etere e alcool che mi fa venire la nausea. È disgustoso. Mi viene da vomitare e non posso, stretta come sono in una specie di corazza.

La testa, la mia povera testa dolorante. Tutto mi duole, ma più di tutto la testa. Il dolore si fa ancora più insopportabile e l'odore di etere e di alcool mi fa venire da vomitare, e di nuovo mi pare di annegare in un mare scuro, nero come la pece....

La pece... la pece, chi usava la pece? Perché si usa la pece? L'inferno, sì l'inferno è un mare di pece bollente......

«Se non ti metti le ali per andare in processione la Madonna ti fa morire e ti manda all’inferno!»

"No, non voglio andare all'inferno, è troppo buio e la pece scotta e fa venire i mali brutti. Sì, sì, fa venire i mali brutti.

Ve lo ricordate compare Mariucciu? [1] Faceva bollire la pece per metterla nello spago. Per quanti anni ha tirato lo spago, ha cucito e ricucito scarpe?....Tanti, tanti anni.

Quanto ha lavorato, povero diavolo! Era più ubriaco la matti­na che la sera, ma lavorava sodo, povero diavolo, per tirare avanti quella famiglia numerosa!

Dovevo essere molto piccola quando udii chiamare compare quel povero diavolo e mi ricordo ebbi una gran paura. Non mi avvicinavo mai troppo al compare Mariucciu, perché, va bene che era un diavolo povero, ma non si poteva mai sapere....

Era una bella scoperta sapere che i diavoli poveri si potevano riconoscere dalle mani. Nere, nere come la pece. Se una persona aveva le mani nere bisognava sta­re alla larga, perché le sue erano mani di poveri diavoli, poveri, ma pur sempre diavoli.

- Chissà - pensavo spesso tra me - come si riconosceranno i diavoli ricchi? - ma non osavo chiederlo a nessuno, perché mi avrebbero riso in faccia oppure mi avrebbero sgridata per i miei strani pensieri. Mi sgridavano sempre. E allora ero rimasta con la curiosità di sapere cosa avessero mai di nero i diavoli ricchi.

Ogni tanto, in verità, azzardavo da sola la risposta. Gli occhi? Forse gli occhi ...No, non può essere, gli occhi si vedono e se io fossi un diavolo ricco non vorrei farlo sapere a nessuno. Allora sono le gambe... o meglio i piedi. Certo, saranno proprio i piedi che stanno sempre chiusi nelle scarpe e cosi se sei un diavolo ricco nessuno lo viene a sapere. Ma....

Per essere più sicura, vorrei proprio domandarlo a papà. Lui sa tutto, almeno così dice la mamma. No, non posso chiederglielo perché è sempre tanto impegnato e non ha certo il tempo di rispondermi. E poi se sì mette a ridere? No, non posso rischiare che papà si metta a ridere. Starò bene attenta e cercherò di scoprire da sola cos'hanno di nero, nero di pece, i diavoli ricchi.

Un giorno compare Mariucciu non venne alla bottega. Andò in ospedale a farsi operare. Che cosa? di che cosa si doveva operare compare Mariucciu? Mamma, nonna, zia, non rispondevano mai chiaramente e invece si facevano il segno di croce esclamando: « -Dio ce ne scampi e liberi!»

I primi giorni comare Maria[2] prima di andare in campagna apriva la bottega così, se qualcuno aveva bisogno di riprendersi le scarpe lo poteva fare a suo comodo.

"Comare, se compare Mariucciu ritorna, posso aspettare qualche giorno" -diceva qualcuno - ma comare Maria si stringeva nelle spal­le secche e forti, come rami d'ulivo, in un gesto brusco quanto eloquente.

Nel giro di pochi giorni nella bottega rimasero solo il banchetto, gli attrezzi sparsi qui e là e qualche pezzo di vacchetta buttata in un angolo. Sbirciando attraverso la porta socchiusa, che lasciava filtrare uno spicchio di sole, dove danzavano miriadi di pulviscoli dorati, m'accorsi che il banchetto aveva una gamba più corta. Non ci avevo mai fatto caso perché quando compare Mariucciu lavorava, vi teneva appoggiato un fiasco di vino. Immancabilmente. Compare Mariucciu per tenere il banchetto in equilibrio vi aveva messo sotto un vecchio tacco da scarpone pesante, chiodato. Era buffo a vedersi, pareva una gamba sporca e secca di cristiano. Ma quella non era l'unica cosa originale della bottega. La parete di fronte alla porta non era una vera parete, ma un tramezzo di legno e vetro con una finestrella e la porta, a ricordo del fatto che, prima di essere degradato  a bottega da calzolaio, il locale ospitava l'Esattoria Comunale. In alto, sulla fascia di legno, c'era attaccato un quadro che raffigurava un santo. Aveva uno strano nome.Dio mio, come si chiamava il santo, che stava nella bottega di compare Mariucciu? Era seduto anch'egli davanti a un banchetto con lo spago in mano nell'atto di cucire una vecchia tomaia. Come si chiamava? [3]

Le mosche per anni lo avevano considerato un luogo ideale per depositarvi i loro escrementi, ma, nonostante la cura che avevano posto in questo lavoro, l’immagine si distingueva ancora bene. Era persino bella, almeno così mi pareva, con i suoi colori caldi come le foglie d’autunno. Poi avevo visto la pece e m'era venuta una gran voglia di prenderla, di toccarla per sentire se scottava davvero, tanto compare Mariucciu era in ospedale e chissà quando sarebbe ritornato.

Ma che potevo fare con la pece? Giocare. Ma se mi si attaccava alle mani come potevo staccarla? La pece viene toccata dai diavoli e se la tocchi per farti dispetto ti fanno diventare cattiva.

Te lo ricordi compare Mariucciu come diventava cattivo, certe volte? Picchiava la moglie e i figli e bestemmiava, non si riconosceva più. Invece quando non era posseduto dal diavolo era allegro e cantava ed era gentile persino con la comare Maria.

Erano passati tanti giorni dal ricovero in ospedale, quando una mattina comare Maria chiamò a gran voce la mamma da sotto le scale: - È ritornato vieni a fargli l’iniezione. E mamma andava ogni giorno a fargli l’iniezione e ogni volta tornava con il viso triste e pensieroso e, come tra sé, mormorava:«Dio lo liberi presto, povero diavolo. Sta solo a patire».

Un giorno si rivolse a me dicendo:«Tieni, vai a portare questo zucchero e il caffè a compare Mariucciu.»

-Ma, mamma, perché non gliel’'hai portato tu quando sei andata per l'iniezione?-

«Me ne sono dimenticata. E ora sbrigati, non sai che chi non va a visitare gli ammalati va all'inferno? Le sai a memoria le opere di misericordia e ora fai finta di non conoscerle? Se lo racconto a suor Maria Lucia, si riprende le ali e non puoi più andare in processione!»

- Mamma, sto giocando …-

«Quando ritorni passa all’ufficio e chiama papà. È pronto il pranzo»

- Mamma non voglio andare all'inferno, ma non mandarmi dal compare da sola. Ho paura delle sue mani nere di pece. L'hai detto anche tu che le sue mani sono ancora nere di pece. Mamma, ti prego, perché non mi capisci? Non è che non voglio portargli lo zucchero e il caffè, anzi, portiamogli pure le ciambelle, le pesche ad uovo che ha portato nonno, ma non mandarmi da sola da compare Mariucciu. Vieni anche tu con me...-

Ma mamma non m'ascolta, non può ascoltare i pensieri.

Col pacchetto che mi ha messo in mano sono già davanti all'uscio di compare Mariucciu. Che fatica, mio Dio! Non sapevo che costasse tanta fatica salire due rampe di scale. Il cuore mi pulsa nella gola e nelle tempie. Non sapevo che il cuore potesse scappare dal petto.

M'è scappato il cuore. Dov'è il mio cuore? ridatemi il mio cuore. Come faccio a vivere senza cuore?...

C’è qualche novità?"

- Non so, dottore, m'è parso che per un attimo abbia come ripre­so conoscenza.-

" Da che cosa l'ha intuito?"

- M'è parso di vedere il suo viso contrarsi in una smorfia di dolore. -

" Ha aperto gli occhi?"

- No, dottore, no, ma m'è sembrato che un pensiero doloroso le attraversasse la mente ed ha leggermente corrugato la fronte.

«Sì, dottore, per qualche momento anche la pressione s'è alzata e sono aumentate leggermente le pulsazioni....»

Ma di chi stanno parlando? Dove sono? Perché non mi ascoltano?

Sto soffocando, il cuore m'è scappato dal petto e s'è fermato in go­la. Perché sto bussando ad una porta chiusa? Chi c'è dall'altra parte? Un fantasma, sì un fantasma tutto bianco con una garza intorno al collo. Gli hanno tolto un male brutto e non può parlare, la sua voce è una specie di rantolo pauroso. E' un fantasma tutto bianco. No, non è tutto bianco. E’ anche un po’ nero. Dov'è nero? - Perché dici le bugie? Non sai che se dici le bugie vai all'inferno?-

Ma io le ho viste le mani nere, nere di pece. È un diavolo povero, - Dio ci scampi e liberi!-, ma è pur sempre un diavolo e deve avere un po' di nero. Le sue mani appunto sono nere, nere di pece. Mi volevano accarezzare, ma io sono scappata. Ho lasciato lo zucchero e il caffè sul tavolino e sono scappata. Anche i suoi occhi erano neri, cu­pi, come il pozzo che sta nel giardino delle suore, lucidi e neri* Forse mi volevano dire grazie, ma io avevo paura e sono scappata.

Ci torno domani a visitare l'ammalato, quando mamma viene a fargli l’iniezione. Ora devo scappare, ho paura del buio dei suoi occhi del nero delle sue mani......

- È morto compare Mariucciu! -

È ancora buio e qualcuno sta gridando sotto le scale. No, ho sognato, non è vero. Ma sento un rumore di finestra che si apre e la voce di nonna che risponde!

- Vengo subito, serve qualcosa?-

La voce di prima risponde qualcosa che non capisco. Ma non può essere vero. Di certo ho sognato. Ma se è vero come faccio domani a visitare l'ammalato? Sto con l'orecchio teso, ma ora tutto è tornato in silenzio. Si sente solo il rumore dell'acqua che scorre nel tubo di scarico. Mamma deve aver lasciato aperto il rubinetto del lavatoio per far riempire le vasche; domani è giorno di bucato. Bussano lievemente alla porta di casa. Il cuore mi batte forte e mi impedisce di rispondere.

«Chi è? » chiede mamma dalla stanza da letto con voce ansiosa.

- Sono io,- risponde nonna - apri, dammi il candeliere. È morto compare Mariucciu!

Allora è vero, è proprio vero. Non ho sognato! È morto compare Mariucciu ed io adesso non posso più "visitare l'infermo" come sta scritto nel catechismo. Andrò all'inferno.

All'inferno! L'inferno no, è buio, è nero e fumante come la pece bollente! Ma io ci sono già all'inferno. E' buio. La testa mi scoppia. Mi pare di soffocare e a tratti vampate terribili mi sommergono fino a farmi perdere i sen­si. Fitte dolorose da tutte le parti del corpo e non distinguo più nulla.....

-Ieri Lalla è andata a portargli lo zucchero ed il caffè. Ha fat­to in un lampo e al ritorno m'ha detto che compare Mariucciu le era sembrato già morto.

-Povera Lalla deve essersi spaventata. In questi ultimi giorni era proprio ridotto pelle e ossa, pareva un fantasma. È una brava figliuola Lalla-.

« Continuava a dire di no! e già era di ritorno. È fatta così lei. Dice sempre di no e poi fa tutto quello che le chiedi».

- No, mamma, ti prego, non mettermi le ali. Pesano troppo, mamma, mi segano le spalle -

«Ma come, non vuoi più le ali? Le hai desiderate tanto, non ti ricordi? Ti provavi di nascosto quelle di tua sorella. Hai persino strappato una piuma per tirarle giù dal "vis-à-vis».

- È vero, mamma, mi parevano tanto belle. Soffrivo tanto ogni volta che Rosella si preparava per andare in processione. Tu le mettevi indosso la vestina di seta bianca con i galloni d'oro intorno al collo, all'orlo, ai polsini. Poi tiravi giù dal "vis-à-vis" le ali celesti, con cura, per non sciuparle e mi dicevi: «Vedi com'è bella Rosella!»


Ed io la guardavo e mi pareva proprio un angelo come quelli di­pinti sopra l'altare maggiore intorno all'immagine della Madonna. Rosella aveva i capelli biondi, lunghissimi, le scendevano fino alla vita morbidi e abboccolati. Gli occhi erano dello stesso colore delle ali; ogni volta mi struggevo dal desiderio di avere anch'io un paio di ali. Ma poi mi guardavo allo specchio e pensavo che non sarei mai stata bella come un angelo: avevo i capelli neri, io, corti tagliati alla maschietta e dritti come il fil di ferro....Gli angeli hanno i capelli biondi e ricci e invece io li avevo neri e lisci.

Ma se mamma mi avesse messo un paio di ali rosa, grandi, qualcuno avreb­be detto anche a me: "Oh che bell'angioletto! " come dicevano sempre a Rosella.

Ogni giorno andavo nella stanza di suor Maria Lucia e le chiedevo di confezionarmi le ali. Lei alzava per un momento gli occhi dal ricamo, mentre le sue mani, bianche e affusolate, continuavano a lavorare. Almeno così mi pareva. Erano belle le sue mani, bianche, lunghe, delicate e quando ti accarezzavano pareva che ti passasse sul viso un pezzetto dì seta.

Mi rispondeva che dovevo essere buona, dovevo fare tanti "fioretti' e un giorno la Madonna in persona le avrebbe dato il permesso di confezionare le ali anche per me.

E finalmente quel giorno arrivò. Era un giorno d'aprile limpido e luminoso. La campagna era nel piano della fioritura. I ciliegi spandevano nell'aria un odore penetrante, eravamo scesi in giardino da poco e stavamo costruendo un’aiuola quando mi chiamò suor Maria Lucia e mi fece cenno dì salire nel salone. Salii le scale di corsa, ma all'ultimo momento fui presa da una specie di panico. Li per lì non avevo pensato cosa avesse da dirmi suor Maria Lucia, ma poi mi prese la paura che dovesse sgridarmi, come quella volta che eravamo andati a prendere le mele in dispensa ed avevamo chiuso dentro il gatto. Passai in rassegna rapidamente gli avvenimenti delle ultime ore e non mi parve avessi fatto qualche marachella. Stranamente quel giorno non avevo litigato nemmeno con Evelina. Già ma Evelina non era venuta all'asilo perché aveva gli orecchioni. Dopo qualche attimo di esitazione bussai timidamente alla porta.

-->«Avanti entra, entra pure » rispose Suor Maria Lucia.

Il cuore mi batteva forte, avevo le guance in fiamme e nella fo­ga di avvicinarmi per poco non travolsi un banchetto. - Acc...!

Suor Maria Lucia mi sorrideva e mi mostrava un paio di ali grandi, con tante piume di carta crespata color rosa:

«Sono tue, ti piacciono?»

Ero sbalordita. Le ali erano appoggiate allo schienale dell’ottomano e parevano fatte d petali di rosa. Per un momento vidi le belle mani di suor Maria Lucia nell’atto di recidere le rose della "Villa"[4] e con pazienza staccare i petali uno ad uno per confezionare le mie ali di carta, che la Madonna in persona aveva ordinato.

Io non vedevo l’ora che venisse Santo Liberatore[5] per indossare le mie ali. La sera prima di andare a dormire andavo un momento in camera di mamma a vedere che stessero al loro posto. Tutti sorridevano e mi dicevano:

"Non aver paura che non te le ruba nessuno".

Purtroppo ebbi subito una grossa delusione. Avevo desiderato tanto il mio paio di ali anche perché speravo di avere, finalmente, un vestito cucito proprio per me, perché col fatto che ero la più piccola avevo sempre indossato i vestiti di mia sorella. Mamma me li aggiustava alla perfezione, ma non erano mai vestiti miei. Era per questo che l’abitino della processione sarebbe stato il mio primo vestito.

«Vedrai che bell'abitino ti farò! - diceva spesso la mamma - ma adesso aiutami a togliere ì fili dell'imbastitura. Se le clienti non ritirano i vestiti non mi danno i soldi e io non ti posso comprare il vestitino per andare in processione».

- Mamma lo voglio di raso lucido, color rosa chiaro.-

« Va bene, va bene, e con le piegoline sul davanti, piccole e fitte e le maniche a corolla. Me l'hai detto mille volte, ma se non mi aiuti non posso farti niente».

Si trattava a ben pensarci di un vestito che avrei indossato poche volte all’anno, ma era pur sempre un vestito cucito proprio per me! E invece proprio in quell'anno mia sorella decise di crescere un po' più del solito tanto che, pure con tutto l’orlo disfatto, il vestito della processione le arrivava al polpaccio. Era ridicola. Ero convinta che fosse cresciuta tanto per farmi dispetto. Infatti dovetti accontentarmi della sua camiciola bianca con i galloni d'oro un po' sciupati.

"Pare proprio nuova! "- dicevano tutti per incoraggiarmi. Ma non era nuova ed io mi sentivo crescere dentro una gran rabbia. E poi era una camiciola bianca e la mia testolina nera sempre in movimento sembrava una mosca caduta nel latte, che cerca disperatamente di liberarsi e riprendere il volo.

Nonostante i pianti e gli strepiti non ottenni nulla e alla fi­ne dovetti accontentarmi.

«Altrimenti niente ali! » gridava la mamma.

E come potevo rifiutare le mie ali nuove, leggere, rosa, confe­zionate per me da suor Maria Lucia, che giurava d' aver avuto l'ordi­ne dalla Madonna, perché avevo fatto tanti fioretti e avevo promes­so d'essere buona ed obbediente con tutti.

E venne il giorno di Santo Liberatore ed io ebbi l'onore del primo posto nella processione solenne, che si snodava per le vie del paese. Ero stordita dall'emozione e non distinguevo bene l'odore dei fiori da quello dell'incenso. Le lacrime mi pizzicavano gli occhi, mi accadeva spesso di aver voglia di piangere quando sentivo canta­re le Figlie di Maria, piangere di commozione e di gioia. Mi pareva di camminare sul velluto. Mi pareva di essere davvero in paradiso.

E mi sentivo buona, piena di gioia e di riconoscenza. Avevo dimenti­cato la rabbia e la delusione per il vestitino e per tutto il resto e mi sentivo leggera e mi pareva di volare, Era bello immaginare di essere in cielo, a giocare e passeggiare davanti a Gesù e alla Madonna.

Poi venne il Corpus Domini, l'Assunta, la Madonna del Rosario, l'Immacolata Concezione, S. Antonio, Venerdì Santo e ancora Santo Liberatore.... e io ogni volta dovevo girare per le vie del paese attenta e compita con le ali sulle spalle. Come pesavano le ali!

I grandi avevano l'aria di darmi un premio, per me diventava ogni giorno di più un castigo.

Ogni tanto la mamma gridava:

«Se fai i capricci non ti faccio mettere le ali!»

Talvolta facevo i dispetti, con la speranza che mia madre, per mantenere la parola, non mi facesse più indossare le ali ed invece, immancabilmente, quando arrivava il momento, mi ritrovavo addosso le ali!

«È vero che non te le meriti, ma ti metto le ali da angelo e chissà che l'angelo custode non ti faccia diventare più buona.»

No, non voglio più ali! È una condanna. Non le voglio. Mi pesano. Sembra di avere addosso ali di piombo. Non mettetemi più addosso le ali.....Non le voglio!

Lalla Rimacci


. [1] Mario Morena conosciuto come Mariucciu d'u Cóttu   ritorna
[2] La moglie di Mario       indietro
[3] S. Crispino protettore dei calzolai.  indietro
[4] Nell'immediato dopoguerra Nini Ascenzio costruì di fianco al palazzo Comunale la villa che oggi è diventato quasi un "complesso" industriale col frantoio Narducci    indietro
[5] il 2 maggio a Moricone si è sempre svolta la cerimonia delle prime comunioni ed inizialmente si festeggiava S. Attanasio ma intorno al 1750 sembra ci fu una forte grandinata nei dintorni e solo il territorio di Moricone ne fu risparmiato e fu stabilito che fosse merito del S. Liberatore.   indietro
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